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Con sempre maggiore frequenza, parlare di «Diversity & Inclusion» significherà coprogettare iniziative di sviluppo delle organizzazioni in grado di comprendere e coinvolgere le persone. La predisposizione di accurati spazi e dispositivi organizzativi in cui le persone possano esprimere libere dinamiche partecipative doneranno un rinnovato senso all’azione organizzativa di singoli e gruppi. Ugualmente, in un modello di lavoro a “legame debole”, come l’hybrid work, le organizzazioni saranno chiamate a trovare nuove formule per ingaggiare i collaboratori.

L’attenzione alla diversità e la cura delle dinamiche da essa emergenti ricoprono un ruolo essenziale nell’ingaggio dei collaboratori e nella creazione di luoghi sempre più sostenibili in un mondo complesso, globalizzato e interconnesso, in cui sono a confronto visioni della realtà completamente differenti.

Oggi, i team di lavoro all’interno delle organizzazioni sono costituiti da persone con uno scarto generazionale significativo, non solo dal punto di vista anagrafico, ma anche nel modo di intendere il lavoro e “guardare” ai valori. I millennials e la generazione Z, ad esempio, desiderano lavorare in organizzazioni più flat ed informali rispetto alle logiche tradizionali. Vogliono avere autonomia, identità propria, auto gestione, indipendenza e una prassi consolidata dall’esperienza in prima persona. Allo stesso tempo, la generazione degli over 40 sta ripensando alla propria attività lavorativa, le condizioni del lavoro, gli obiettivi futuri e sono alla ricerca di equilibri tra vita lavorativa e privata diversi e migliori. In ogni caso, le persone sono alla ricerca di un “patto” che restituisca loro una nuova cittadinanza all’interno delle organizzazioni.

Qual è il vantaggio nel dare voce a tutte le individualità? Perché includere i diversi punti vista, le esperienze differenti? Per un manager, qual è il vantaggio di condurre team sempre più eterogenei?

Per raggiungere gli obiettivi in un sistema complesso, ai manager oggi è richiesto un mindset che superi gli schemi pre-costituiti, e che contempli una pluralità di opzioni, esercitando un tipo di leadership inclusiva, ovvero attenta ad accogliere i diversi punti di osservazione, spesso privilegiando quelli periferici. Essa non deve  necessariamente convergere su opinioni prevalenti e deve essere capace di ascoltare anche idee e punti di vista “marginali”.

Se il leader esclude il multi-sguardo che proviene dall’alterità, la partecipazione del team s’indebolisce e, contemporaneamente, si affievolisce la capacità di osservare quei “segnali deboli” che, nell’affrontare i diversi fenomeni organizzativi e di business, fanno la differenza.

Si parla di “vuoto fertile”, ovvero di uno spazio che permetta alle persone di potersi esprimere ed imprimere al lavoro la propria espressività.

Manager, team leader, responsabili, sono quindi chiamati a porre le basi perché l’approccio indicato da Diversity & Inclusion compenetri la cultura aziendale, non come spot convenzionale, ma come disposizione ad accogliere l’alterità che conviene.