Come nasce un percorso di sviluppo organizzativo: fasi OD

Le fasi chiave di un percorso di sviluppo organizzativo partecipato e trasformativo.
8 settembre 2025 di
Come nasce un percorso di sviluppo organizzativo: fasi OD
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Dalla domanda reale al cambiamento: il senso dello sviluppo organizzativo

Lo sviluppo organizzativo non è un prodotto da acquistare, ma un processo da attraversare. Si tratta di un percorso co-costruito, che parte sempre da una domanda reale, dal contesto in cui si è immersi, e soprattutto da un ascolto condiviso.


In questo articolo raccontiamo le fasi chiave di un percorso di accompagnamento, così come viene vissuto dal punto di vista dell’organizzazione. Non troverai qui un “metodo” rigido, ma alcune coordinate che aiutano a capire cosa succede, quando succede, e perché è importante.

1. Incontro iniziale: capire se possiamo lavorare insieme

Ogni percorso comincia con un primo contatto. È il momento in cui si esplora la domanda iniziale e si cerca di capire se ci sono i presupposti per attivare un processo di cambiamento.

Questa fase è preziosa perché permette di chiarire se esiste una disponibilità a mettersi in gioco davvero. Non si tratta solo di esplicitare un problema, ma di cogliere il grado di apertura al cambiamento. Spesso il tema da cui si parte non coincide con quello che emerge in profondità, e questo rende ancora più importante avere un tempo iniziale di ascolto e di chiarimento.

Non è ancora il momento delle soluzioni. È il momento della fiducia, dell’ascolto, e dell’onestà rispetto a cosa è possibile fare (e cosa no).

2. Definizione dell’accordo: chiarezza prima di iniziare

Il secondo passo è esplicitare un patto di lavoro chiaro, che tuteli entrambe le parti. Qui si definiscono i ruoli (chi fa cosa), gli obiettivi (cosa vogliamo ottenere), i confini (cosa non si farà) e le modalità.

Avere un accordo significa ridurre al minimo i fraintendimenti e dare legittimità al percorso all’interno dell’organizzazione. Quando le aspettative restano implicite, infatti, il rischio è che emergano incomprensioni o resistenze nei momenti più delicati.

Avere un contratto chiaro, anche se informale, è un fattore di successo per qualsiasi intervento trasformativo.

3. Diagnosi partecipata: leggere insieme ciò che accade

Il cuore del lavoro OD è sempre una fase di ascolto e osservazione del sistema. Questa fase non è un audit né una valutazione esterna, ma un momento di indagine condivisa: interviste, focus group, raccolta di dati, osservazioni dirette.

Il valore di questa fase sta nella possibilità di dare voce a punti di vista differenti, anche a quelli che solitamente non trovano spazio. È qui che emergono le dinamiche culturali e relazionali più invisibili, gli intrecci tra storia, identità e quotidianità organizzativa. Comprendere insieme ciò che accade significa riconoscere la complessità senza semplificarla e gettare le basi per decisioni condivise.

Uno dei principi base è: non si cambia ciò che non si conosce, e non si conosce veramente ciò che non si esplora in dialogo.

4. Analisi e restituzione: creare consapevolezza

Una volta raccolti i dati, non si passa subito all’azione. Prima si condividono le evidenze con chi ha partecipato, per validarle, discuterle, elaborarle.

Questa fase è utile perché trasforma l’informazione in consapevolezza organizzativa. Dare forma e parole alle dinamiche vissute quotidianamente aiuta a uscire da schemi ripetitivi e a riconoscere ciò che spesso resta implicito.

In molti casi, la restituzione stessa è già trasformativa: vedere messe in forma le dinamiche vissute quotidianamente aiuta a dare senso e a uscire da schemi ripetitivi.

5. Co-progettazione: costruire le azioni insieme

Solo dopo aver “letto” la situazione insieme, si passa a decidere cosa fare concretamente. In questa fase si costruiscono gli interventi: laboratori, momenti di formazione, riorganizzazioni, accompagnamento ai ruoli, nuovi strumenti…

Il senso della co-progettazione è trasformare l’analisi in azioni concrete senza cadere nella trappola delle soluzioni calate dall’alto. Ed è utile per garantire che le soluzioni siano adatte e sostenibili

Il coinvolgimento delle persone nella progettazione aumenta enormemente l’efficacia e la sostenibilità del cambiamento.

6. Azione: sperimentare, valutare, aggiustare

Una volta definito il piano, si passa all’azione. Non si tratta solo di “eseguire”, ma di sperimentare. Il lavoro OD non è lineare: ogni azione è anche un’occasione di apprendimento e di feedback.

Questa modalità è utile perché consente di adattare gli strumenti in tempo reale, anche quando si affrontano aspetti delicati. È nell’esperienza concreta che le persone costruiscono nuovi significati condivisi e verificano la tenuta delle soluzioni ideate.

Il cambiamento reale avviene nel fare, non solo nel progettare.

7. Valutazione: cosa è cambiato davvero?

Ogni intervento ha bisogno di una chiusura consapevole. Si riflette su ciò che ha funzionato, su ciò che resta aperto, su cosa serve per rendere il cambiamento duraturo.

La valutazione serve a non lasciare il lavoro sospeso, ma anche a consolidare l’apprendimento emerso

Anche la chiusura è parte del processo: chiudere bene è un’occasione per chiarire i prossimi passi e per mettere a sistema ciò che si è imparato

8. E dopo?

Spesso, un percorso di sviluppo lascia tracce che vanno oltre il progetto iniziale: nuove domande, nuove alleanze, nuove forme di apprendimento. In questi casi si può aprire un nuovo ciclo, in modo ancora più consapevole.


In questo senso, lo sviluppo organizzativo non si esaurisce in un progetto: è un processo continuo che si alimenta di ogni esperienza trasformativa.

In sintesi

Un intervento di sviluppo organizzativo non è un prodotto, ma un percorso partecipativo fondato su ascolto, apprendimento, relazione e consapevolezza.

Se si parte con il piede giusto, e con un approccio co-costruito, il cambiamento può davvero mettere radici.

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