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All’interno dei contesti organizzativi attuali le persone preferiscono vivere connessioni informali, semplici, dirette rispetto alle logiche organizzative tradizionali che erano fondate, invece, su rigide gerarchie. Le persone, generalmente parlando, ambiscono ad avere un buon grado di autonomia professionale. Costruiscono identità disegnate su esigenze di equilibrio individuali. Tendono a costituire gruppi auto gestiti orientati al raggiungimento degli obiettivi. Preferiscono scoprire i nessi a partire dall’esperienza e non da regole precostituite che irrigidiscono le dinamiche relazionali e limitano l’autonomia del singolo.
Tuttavia, questa nuova esigenza di ingaggio delle persone non è sempre e immediatamente integrabile all’interno dei sistemi organizzativi. Il ritmo del
cambiamento è spesso più veloce della capacità di adattamento dell’organizzazione. Questo gap sta all’origine di un mismatching fra desiderio delle persone e cultura di molti ambienti organizzativi. In questo senso, è possibile leggere quello che sta accadendo nel mercato del lavoro e in particolare il fenomeno delle grandi dimissioni che risponde al desiderio di lavorare all’interno di organizzazioni più flessibili, che facilitino l’equilibrio lavoro/vita privata, con percorsi di sviluppo professionale mirati e soddisfacenti.

Il sempre più diffuso ricorso alle logiche e agli strumenti digitali all’interno delle relazioni lavorative ha, tra le altre cose, ridotto i buffer che erano accettati come
inevitabili nel mondo della presenza fisica. Oggi, in molti casi, il remote working ha costretto molti lavoratori a gestire quotidianamente un’agenda frammentata e molto più veloce e “nervosa”, che non ammette ritardi, né spesso pause con il rischio di non avere più tempo per l’analisi e la riflessione individuale e di gruppo. Il tempo passato globalmente nelle riunioni online è più che raddoppiato e continua a crescere.

La durata media di un meeting on line oscilla fra i 35 e 45 minuti. Ogni persona manda in media il 45% in più di messaggi via chat a settimana. In questo contesto, favoriti anche dall’esperienza della pandemia, le persone si stanno interrogando sul valore del lavoro all’interno di una esistenza così sottoposta a imprevisti e a vulnerabilità. In altre parole, stanno sviluppando nuove aspettative professionali ripensando e riprogettando la propria attività professionale e, più in generale, i propri desideri. Sono alla ricerca di nuovi equilibri che possano contemplare la vita lavorativa e il resto della vita ricercando un nuovo senso da dare alle proprie attività.

In questa prospettiva, uno degli elementi su cui le organizzazioni stanno lavorando è come alimentare l’ingaggio dei talenti e come creare ambienti organizzativi in grado di accogliere le nuove esisgenze dei collaboratori senza, però, defocalizzarsi sugli obiettivi del business. La condivisione, la partecipazione e le sinergie tra persone e gruppi, ad esempio, determinano un progressivo aumento di senso rispetto all’esperienza di lavoro individuale ed organizzativa. Questo processo di sensemaking agisce positivamente sulla consapevolezza e sull’ingaggio e quindi ha una ricaduta positiva sul raggiungimento degli obiettivi strategici. Oggi più che di mission aziendale parliamo di purpose. Le persone e l’organizzazione sono ingaggiate insieme in un percorso comune di scoperta. Lo scopo dell’azione quando è co-costruito e copercepito abilita le persone alla partecipazione attiva piuttosto che procedere da proclami top down che non hanno più la forza di smuovere individui e gruppi. In un mondo dove l’hybrid work prenderà sempre più spazio maggiore sarà il bisogno di sensemaking.