L’efficacia della comunicazione raccontata da un mediatore

E’ un’afosa mattina di Luglio, anche il condizionatore fa fatica a fare il suo lavoro e sembra voler rallentare.

Compongo il numero di cellulare dell’Amministratore delegato di Sofinn, azienda leader nel settore automotive che realizza soluzioni e servizi gestionali ad elevato contenuto tecnologico. Penso già, nella mia mente, che un’AD che rilascia il suo numero di cellulare per farsi intervistare, deve essere proprio entusiasta di conversare con una che gli fa domande su un corso di formazione che ha seguito.

Sono sorpresa, ma compongo il numero. Mi accoglie una voce sveglia ma ferma che induce calma e serenità. Mi presento e comincio a fare domande. Francesco Buono, 56 anni, dottore commercialista da sempre (dopo la laurea ha lavorato 7 anni in SECTOR e poi ha intrapreso la professione) e da un anno e mezzo Ad di Sofinn. Mi racconta che due giorni a settimana è in azienda, negli altri si divide tra lo studio, le scadenze, i bilanci, i collegi sindacali e via dicendo.

Poco dopo scopro anche il perché di quella voce così calma, è anche un mediatore, si occupa di conciliazione. Gli chiedo se questa esperienza di mediazione gli è servita in azienda, mi risponde di si ma mi dice anche che per essere mediatore non servono tanto i corsi, per essere un buon mediatore occorre esserlo già di carattere. Con questa risposta da mille punti inizia il racconto di cosa è successo in azienda dopo il suo arrivo.

L’azienda ha iniziato un percorso di ristrutturazione intenso, oggi conta 50 dipendenti e un fatturato in crescita; è a questa crescita che la sua figura di AD ha cercato di rispondere, innanzitutto attraverso la formazione; di tipo tecnico-professionale ma anche di tipo trasversale.

In particolare, con noi la sua azienda ha iniziato un percorso sulla comunicazione e sulla leadership, tempo dopo l’esperienza di formazione si è tramutata in una fase di coaching poiché le persone, dice, avevano bisogno anche di una maggiore assistenza sul posto di lavoro. Mi racconta che tutto è iniziato poiché era sorta in azienda la consapevolezza dell’esistenza di blocchi comunicativi tra le aree e i reparti e quindi l’idea era intervenire sui flussi comunicativi esistenti e crearne di nuovi. Mi stupisce una frase: << Migliorare la comunicazione significa migliorare la qualità del lavoro>>.

Gli chiedo anche se ricorda il primo giorno di corso o, tutt’al più, qualche episodio che gli sia rimasto particolarmente impresso. Mi risponde così: <<In aula siamo andati un po’ rigidi la prima volta…piano piano ci siamo sciolti…Mi ricordo di un evento che mi ha fatto molto riflettere; un dipendente di Sofinn (socio Sofinn che è anche dipendente), che chiameremo Charlie, era particolarmente rigido nei suoi atteggiamenti, ma anche particolarmente arguto, sempre pronto a scattare, eccessivamente reattivo…si impelagò in una concitata discussione con la faculty… pensavo che avrebbe, come al solito, avuto la meglio anche sul docente. In realtà fu il contrario, il docente espresse con una serie di esempi e di obiezioni una serie di concetti…per la prima volta Charlie era rimasto senza parole e quel suo silenzio era invece molto eloquente poiché faceva percepire la riflessione che l’esperienza di formazione gli aveva internamente procurato. Non erano tanto i concetti ad essere nuovi per Charlie ma erano i tempi e i modi ad essere nuovi, c’era una riflessione diversa, si era aperta una breccia nel suo modo di fare e di pensare >>.

Sull’onda di questo episodio gli chiedo anche che cosa si è portato a casa dopo questo percorso. Le sue considerazioni sono molto interessanti: << Ho notato che una parte degli allievi ha subito messo in moto qualche cambiamento per cui c’è già stato alla fine del corso un discreto impatto…per altri è passato un po’ di tempo in più. E’ come se il corso avesse fatto il suo lavoro piano piano dopo la sua fine…alcune situazioni venivano rielaborate a piccole dosi nel lavoro di ogni giorno…come un seme…ogni seme fruttifica secondo i suoi tempi>>.

La metafora del seme mi piace parecchio e così incalzo ancora il mio AD << Ma lei personalmente cosa si è portato via dal corso?>> Riflette e mi risponde: <<Mi ha interessato molto l’approccio partecipativo, nonché la scelta che ognuno ha di poter passare da una modalità di lavoro reattiva ad una di tipo pro-attivo, rispetto ai risultati mi sono invece interessato molto agli altri piuttosto che a me>>.

Gli fa eco il mio commento << Allora si vede che è proprio un Amministratore Delegato!>>.